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Nell’ambra del momento

Here we are, trapped in the amber of the moment. There is no why. – Kurt Vonnegut

Immaginiamo veder scorrere, come nell’avanzamento veloce di un vecchio VHS, frammenti di ciò che è accaduto in piazza Ganganelli dal 1970 a oggi, per arrivare al paesaggio-festival 2020: cosa appare?

Con questa domanda aprivamo nel gennaio 2019 il nostro primo breve intervento sul Festival che avremmo diretto nel luglio 2020… Poi tanto lavoro si è succeduto, sino alla chiusura del programma poco prima dell’esplosione della bomba virus e della cristallizzazione di tutto il progetto, nell’ambra del momento, appunto. A 10 anni dalla nostra direzione artistica, che tutta sulla “rappresentazione del reale” verteva, proviamo a ripartire trasformando la domanda, che dal tradurre la realtà prova a intercettare visioni e strategie per affrontare futuri possibili, anche se inabissati nel “pandemico sciame digitale”. Un’archeologia inversa che rinviene il futuro nel presente.

Attraversando le tematiche di Santarcangelo 2050, che tanto sugli slittamenti temporali insisteva, decidiamo di non annullare né posticipare ma dilatare il Festival, con una prima azione estiva per tornare ad abitare lo spazio pubblico: un progetto pilota che parte dalle norme di distanziazione per inventare altre modalità di stare insieme, a un metro (o più) di distanza.
Tutto il Festival sarà atto performativo, un set cinematografico esploso, dove cittadini e cittadine, performer, tecnici, cuochi, negozianti, amministratori… saranno attori di un gigante film post- apocalittico: a Santarcangelo si può, immaginando la Piazza, lo Sferisterio, il parco di Imbosco come nuovi palcoscenici naturali. Con la casa di produzione cinematografica Dugong pensiamo a una debita documentazione di questa performance collettiva di cinque giorni. Data l’unicità dell’intero processo di ripensamento del Festival sarà un documentario sulla capacità adattiva dell’immaginazione.

Proprio in questo tragico momento è necessario attrezzarsi per “sopravvivere su un pianeta infetto” come scrive Donna Haraway, nel suo libro “Staying with the Trouble”, che si apre con la citazione “Pensare, pensare, dobbiamo” di Isabel Stengers e Vinciane Despret. Anche se il clima “dopo la tempesta” sarà all’esatto opposto del “futuro fantastico” preconizzato da Asimov, non dobbiamo smettere di pensare, macchinare e inevitabilmente sognare: la crisi climatica, economica, politica è sempre una crisi di immaginazione.

Questa edizione d’emergenza la intendiamo etimologicamente come “atto dell’emergere; ciò che emerge. In botanica, protuberanza della superficie del fusto o delle foglie e organi omologhi (di forma e funzione diverse secondo la specie), che può originarsi non solo dall’epidermide, ma anche dai tessuti sottostanti, come, per es., gli aculei delle rose e dei rovi, i peli ghiandolari di alcune piante carnivore…” e qui torniamo alle metafore vegetali che tanto ci sono care e utili a immaginare questa rifioritura calmierata della performance dal vivo, fra rovi e piante carnivore.

Sarà una operazione possibile solo con la collaborazione della cittadinanza tutta, un gesto comune anche per far ripartire la vita mutata e le disastrate attività commerciali saldamente legate alle tante proposte culturali che Santarcangelo ha sempre offerto. Sarà un Festival abitato soprattutto da artiste e artisti italiani, ma il localismo non ci spaventa, quando si riparte è necessario prima di tutto guardarsi in faccia e contare sulle alleanze di lunga data, sui legami di fiducia e gli impegni solidali. È anzi occasione imprescindibile per spostare il fuoco sul nostro paesaggio teatrale martoriato dal lockdown e dalle discrepanze dei sussidi. A partire da inevitabili riflessioni di natura sindacale, vogliamo spingerci su questo fronte ibrido fra presenza reale nello spazio pubblico e traduzione digitale, perché dopo tanti brillanti tentativi lanciati dal mondo culturale, come il proliferare delle radio, degli streaming, dei progetti online, sentiamo necessario tornare con i corpi nello spazio, per accendere quelle sinergie che solo l’arte può incendiare quando si crea l’innesco fatidico fra chi vede e chi agisce.

Chi pensa che un festival sia un orpello o lusso o puro intrattenimento non necessario in tempi di crisi, commette un errore immane, verso sé stesso e verso le generazioni a venire. Occorre rilanciare e non rinunciare, rallentare debitamente le pressioni produttive, lavorare in estrema economia e rispetto dell’ambiente, che si è così evidentemente ribellato verso la nostra corsa cieca all’accumulo… ma cercare di andare oltre la rivendicazione del necessario per mantenere viva l’adrenalina dell’intelligenza. È vero c’è una percentuale altissima di popolazione che ancor più dopo questa crisi vive al di sotto della soglia di povertà, e questa situazione va posta in cima alla lista delle urgenze: ma un festival può anche essere bacino catalizzatore di risorse economiche per sostenere aree più fragili del sociale, e in questa edizione sarà una delle principali finalità. Sarà comunque un Festival modulato per essere accessibile a tutte e tutti, anche chi non ha i supporti tecnologici per seguirne alcune sezioni, che inevitabilmente saranno in live-streaming. Vorremmo utilizzare un canale televisivo dedicato, per disegnare un palinsesto virale che incroci magicamente cinema, teatro e televisione, accogliendo anche interventi da artiste, artisti e teorici della scena internazionale con cui eravamo in dialogo. Volgiamoci indietro, alla bella televisione delle origini, agli affondi senza salotti e battibecchi, alle lunghe dirette senza commentari superflui…
Un festival è anche una festa e un rito sensuale e comunitario, che immunizza dalle paure e facilita le relazioni inceppate dal tempo, un festival produce ossigeno, e accende fuochi immaginativi ed emozionali, è catartico e costruttivo. Un festival immateriale e che si fonda sull’effimero di eventi volatili e perituri, crea comunque indotto, economia, lavoro. Nasce a sua volta da tanto lavoro di organizzatrici, tecniche e tecnici, volontarie e volontari, artiste e artisti: categorie fragili del sistema culturale senza supporti stabili, che vivono nella perenne incertitudine del domani, ma che fanno di questa immaterialità la ricchezza più potente, per affacciarsi con agilità, da veri “atleti del cuore” al futuro più temibile. Apriamo le danze dunque, anche se la nave affonda… E citiamo qui in chiusura un frammento da un testo che ci è stato donato da un gruppo teatrale della regione, Quotidianacom, per il nostro Dream Suq:

Trasmettere una idea di inizio. Nel futuro fantastico gli esseri umani potranno stare vicini uno all’altro senza che questa condizione comporti sofferenze profonde, tanto da preferire la solitudine e negarsi alla fratellanza. Nel futuro fantastico gli anziani potranno correre come lepri, per il loro puro piacere.
Il sogno annienta la retorica.
Il sogno genera salvezza.

Daniela Nicolò e Enrico Casagrande / Motus