Stavo pensando a chi mette la testa fuori dal finestrino perché il vento è il miglior modo per asciugare le lacrime senza sprecarle.
Riccardo Benassi “Morestalgia”
Perché ci incantiamo a guardare la natura che esplode sotto le gocce di pioggia e non riusciamo ad entusiasmarci di ciò che l’umano propone, perché questa pseudo-collettività scossa da virus e crisi economica sembra muta e cieca come la nostra gattina infestata da parassiti che stiamo curando con disperata cocciutaggine? Ecco il punto di partenza per raccontarvi questo Festival: l’ostinazione a trovare dei rimedi, che non sono “a tutti i costi”. Sappiamo bene che adesso è più importante dire NO che accettare compromessi. Ma è contro la distanza che proviamo a guerreggiare, che non ha niente a che vedere con quella sociale o di sicurezza, ma affonda direttamente nell’io, nella solitudine affettiva che la nuova bidimensionalità social ha trasmesso in questi mesi e che ancora continua ad instillare, goccia a goccia. Siamo sconvolti da quanto il sistema tenda a non farci registrare i mutamenti, ad anestetizzare immediatamente le criticità. Vorremmo paesaggi di sabbie mobili, piante carnivore e ostili che non permettano di andare avanti come se nulla fosse accaduto, ma ci risucchino con violenza nel punto, nell’immagine sbiadita e spaventata della fragilità che stiamo sperimentando, della necessità amplificata di cure che i corpi (ancor più quelli deboli e non conformi) e il pianeta, esigono, a gran voce. Ma non ascoltiamo. Forse è solo una questione di decibel 108 db > 200 db> 400 db… è un ruggito lacerato che dobbiamo comporre, come quello dei motori sottoposti a sforzo “fra il minimo e massimo dei giri” nella performance creata da Zapruder per questa complessa edizione del Festival: un inno a un’eterna partenza che non avviene mai. La retorica della ripartenza non fa bene a nessuno: meglio stare fissi sul posto a lanciare segnali per propagare l’allarme globale! Mentre negli Stati Uniti la comunità afroamericana rivendica un’identità strappata con i denti allo schiavismo e alla segregazione e riesce a buttare giù le statue-simbolo dell’oppressione coloniale, noi poveri bianchi ci accontentiamo di cantare l’Inno di Mameli, stonati e ubriachi appesi a balconi di ringhiera? Spesso si dice che contro l’obesità l’importante è muoversi, deambulare in qua e in là… stronzate, contro l’obesità ci vuole il sogno, l’adrenalina, la rabbia del voler fare, la passione per un progetto (e non è un attacco alle persone sovrappeso, sorry, c’è chi ha molto più grasso in eccesso nella mente pur avendo un fisico atletico). Spaccati quindi fra il momento cristallizzato e l’illusione di un futuro che porta con sé i germi del presente e del nostro passato coloniale e di sfruttamento… adesso siamo un po’ nella merda inodore della fantascienza. Ci accontentiamo di romanzi di serie B senza pretendere il Fantastico assoluto. Eppure nonostante le parole atroci che stiamo scrivendo, la nostra testa di artisti/curator_ è molto accesa e lucida nell’affermare che forse un piccolo spiraglio non del tutto colonizzato, si è aperto, esiste, proprio in questo tempo post lockdown calmierato da norme schizofreniche e tanto caos comportamentale. È un po’ come nella performance di Giacomo Cossio: sotto la crosta “contronatura” e uniforme di colore fluorescente che applica alla vegetazione la vita interna delle piante continua e dopo un po’ emerge e germoglia, erompendo in una nuova pianta “mutante”, che non sarà mai più la stessa. Proviamo a pensare in quest’ottica, essere insieme nel Festival, per creare nuove ibride possibilità – come avevamo scritto immaginando luglio 2020 – Questa edizione d’emergenza la intendiamo etimologicamente come “atto dell’emergere”. In botanica, protuberanza della superficie del fusto o delle foglie e organi omologhi, che può originarsi non solo dall’epidermide, ma anche dai tessuti sottostanti, come gli aculei delle rose e dei rovi, o i peli ghiandolari di alcune piante carnivore. Quello che cerchiamo assieme agli artist_ e il numero grande di volontarie e volontari che hanno aderito (e che qui ringraziamo), è immaginare, provocare, fluire insieme: riconoscere il caso e seguirlo, se dura, scrive Claudia Castellucci. Ciò implica essere anche capaci di spaccare il cemento dei muri, reali e immaginari, lo dice il titolo del progetto di Mara Oscar Cassiani, ispirato al famoso monologo “Be water, my friends” di Bruce Lee.
Potremo non avere forma, ma potremo anche avere la stessa forma
Saremo Diversi, ma saremo anche Uguali.
Saremo Separati, ma saremo Uniti (…)
L’ acqua può fluire, ma può anche spaccare.
Siate acqua amici.
Buona visione e condivisione nel nostro far out festival!
Daniela Nicolò & Enrico Casagrande