Eccoci all’ultimo atto. Si chiude con questa edizione “di meduse, cyborg e specie compagne” la nostra direzione artistica a Santarcangelo. Stiamo lavorando da due anni ininterrotti e in 11 giorni a luglio tutto finirà e torneremo alla nostra vita di artistə… Se aggiungiamo alla temporalità “fuori sesto” anche l’irruzione della pandemia, i sentimenti che ci abitano ancor più si contorcono. Abbiamo scritto nel primo comunicato “con umore altalenante fra disperazione e speranza, o meglio Hope in the darkness per citare la Solnit”… ed è vero, in questi due anni abbiamo lavorato in uno stato di alterata sovraeccitazione, fra slanci in avanti e sguardi al tempo passato, fra immagini/ricordi dei nostri 30 anni di frequentazione del Festival, assieme alle riflessioni sui cinquant’anni della sua storia turbolenta, le trasformazioni della scena, l’avvicendarsi delle direzioni artistiche che con il loro mutare hanno contribuito a cambiare l’immaginario stesso dei cittadini e del pubblico che segue il Festival, sempre più mescolato, numeroso e proveniente da fasce geografiche e sociali anche lontane dagli habitué delle sale con le poltrone rosse… Dallo smarrimento della prima pandemia all’ostinazione nel voler tornare insieme nell’estate 2020, provando a ricostruire il Festival dai cocci, dai resti di quello che era il programma annullato, pietrificato “nell’ambra del momento”. Ed è da questa prima operazione di recupero che abbiamo iniziato davvero a comprendere quanto sia vitale mettere in atto pratiche di sostenibilità nel “curare” eventi artistici: è bello usare questa parola che male collide con la parola “evento”. Curare, “prendersi cura” degli atti artistici, preferiamo questo termine perché ogni opera è gesto, è una presa di posizione nel mondo e con esso dovrebbe risuonare in accordo o controtempo. Imparare davvero a prendersi cura è stata la più importante “lezione del virus”, che è diverso dal termine “curatela” tout court: c’è sempre una certa distanza in questo approccio che non si confà al nostro “esser parte del tessuto”, in quanto artistə a nostra volta. Non riusciamo ad avere lucide visioni d’insieme ma piuttosto ci lanciamo con trasporto (e incoscienza) nei flussi, agiamo ancora per innamoramento, di opere, dei percorsi di lavoro… slanci spesso stridenti con le risorse ancora troppo limitate che questo storico Festival tuttora ha a disposizione: una inaccettabile discrepanza nel mondo dello spettacolo, che ancor più in pandemia ha visto amplificate le differenze di finanziamento tra grandi eventi e realtà indipendenti, più periferiche ed eccentriche. Ma questa è una vecchia polemica che vogliamo portare avanti cercando alleanze con le variegate componenti del mondo dello spettacolo dal vivo, tutt’ora in fermento…
Oltre all’impegno estenuante per reperire risorse economiche che permettano di stipulare degni contratti lavorativi, il prendersi cura di un festival è anche – cambiando registro – cercare che le opere e le relazioni umane che le sottendono siano ossigenate, vivificate dal calore dello scambio, del confronto e anche e soprattutto della gentilezza…
Ed è alla gentilezza degli animali che guardiamo in questa edizione.
Vorremmo che il Festival fosse fatto e visto con gli occhi di un gatto o quelli specchiati di un pesce o di un cefalopode… vorremmo imparare a essere presenti e silenziosamente accoglienti, in osservazione, in apprendimento, con quella estraneità che la selvatichezza animale porta intrinseca e sacralizza. Abbiamo assorbito, appreso, ascoltato tanto in questi due anni, soprattutto da tantə artistə più giovani di noi e questa è stata un’altra bella lezione. Non viviamo l’età come barriera ma come catalizzatore facilitante di relazioni. Cerchiamo di tenere i sensori sempre accesi, cyborg dell’interrelazione sfrenata, soli, o meglio in due: anche questo è altro elemento centrale di questa pagina che è forse più un diario personale, che introduzione alla lettura del programma. Essere in due a confrontarsi con tutto lo staff, gli amministratori, il mondo dell’arte… essere in coppia alla direzione artistica e poi essere in tre con Chiara (Organtini) che ci ha affiancato su tutto, sempre con molto affetto… C’è spesso un terzo ad accostarsi nel nostro comporre scenari, di qualsiasi tipo, che siano spettacoli o progetti.
E il 19 luglio sarà tutto finito.
Già immaginiamo il vuoto abissale di quel giorno. Torneremo allora alla nostra vita d’artistə, mettendo comunque l’esperienza accumulata in questi due anni acrobatici a disposizione del nuovo direttore Tomasz Kireńczuk, così come Eva Neklyaeva e Lisa Gilardino avevano fatto con noi…
Torneremo alla vita di prima con un nuovo spettacolo che deve ancor debuttare, nato fra le riunioni organizzative del Festival e il confinamento sempre più esasperante. Torneremo a quello che facevamo profondamente trasformati. Perché comunque questo Festival ha davvero un potere trasformativo per chi lo vive, lo cura e anche vi partecipa.
Quest’anno lo abbiamo chiamato “mutaforma”, termine che in realtà non è solo un aggettivo: al tradizionale “proteiforme” si è affiancato infatti questo neologismo, dall’inglese shapeshifter, che ha una lunghissima storia nella letteratura, nella mitologia e nel folklore di tutto il mondo, e incarna la possibilità per umani o altre creature di trasformarsi in altre specie. Non si conoscono bene le origini dei mutaforma, forse un tempo erano semplici individui in simbiosi con la natura. Per alcuni sono abomini e per questo visti come portatori di sfortuna, streghe o mostri, oppure esseri con un dono magnifico. Non hanno il senso di appartenenza ad un branco, o ad una specifica razza, pertanto non sono organizzati secondo gerarchie o classi, ma sono liberi e indipendenti e possono anche transitare fluidamente tra i generi. Di queste teorie e immaginari saranno intrisi tanti appuntamenti di questa edizione, gli incontri di approfondimento, la programmazione musicale e cinematografica… ma anche i luoghi stessi, a cominciare dal parco dei Cappuccini che quest’anno, oltre ad ospitare gli spettacoli all’aperto, si trasformerà in un villaggio ecosostenibile, con il progetto il cui titolo è già di per sé esplicativo: How To Be Together. Abbiamo lavorato cercando di continuare, nonostante tutto, a produrre immagini, a fertilizzare il territorio inaridito dalla paura del virus che poi, banalmente e pericolosamente, diventa paura dell’Altro, del diverso da ciò che non rientra nelle consolidate categorie percettive. Quest’anno abbiamo ancor più spinto verso l’ibridazione e le pratiche di compostaggio per innestare una programmazione esplosa fra forme e linguaggi, corpi e voci minoritarie. Voci che sarebbe difficile intercettare, opere che a fatica andranno nei grandi contenitori dello spettacolo (almeno in Italia). Futuro Fantastico sarà un’iridescente misticanza di artistə di varie provenienze, che invaderà i luoghi riscoperti del Festival. E la tipologia degli spazi che occuperemo è tanto vasta quanto i formati, con un enorme sforzo organizzativo di tutta l’equipe, che qui ringraziamo con stima e affetto. Basterebbe forse elencare i luoghi per capire la natura tentacolare di questa edizione, che si estende da Piazza Ganganelli, che quest’anno sarà abitata esclusivamente da workshop per giovanissimi e ballerini di liscio, alle aule della Scuola Pascucci, al cortile della scuola stessa che accoglierà molti dei cosiddetti “gruppi di Winter Is Coming”… Poi allargandosi all’immancabile Supercinema che sarà occupato in entrambe le sue sale, tra spettacoli e maratone cinematografiche, così come il rinnovato Teatro il Lavatoio. Salendo poi ancora le strade del paese, il grande Sferisterio accoglierà musica con un programma eclettico e tutto al femminile curato da Chris Angiolini (Bronson produzioni) e il dopo-festival Bisonte che vedrà avvicendarsi alla consolle i djset di tantə artistiə del Festival stesso. Quest’anno poi le musiciste e musicisti di Grand Bois occuperanno i tetti e terrazzi delle vie del paese vecchio sino alla Rocca che troneggia misteriosa sulla città, facendo risuonare per tre ore le antiche mura a ritmi voodoo. Anche il meraviglioso Colle Giove sarà abitato da una serata dell’itinerante Cinema du Desert, il cui camion fotovoltaico si spingerà anche sulle rive del Marecchia fino a riscoprire e accendere il colosso industriale e fantasmatico dell’ex-Unicem. Abiteremo anche lo stadio con i Be Waters di Mara Oscar Cassiani e il campo dei Mutoid tornerà al centro del programma con un evento site-specific del collettivo belga GHOST: 16 musicistə/artistə per creare questo happening unico dedicato a Mad Max… Poi naturalmente il Parco dei Cappuccini sarà ancora cuore pulsante di questa edizione: Nellospazio ci saranno due grandi palchi all’aperto che conviveranno con il campo mimetizzato nel bosco nelle vicinanze: diverrà davvero un’area rigenerata e mai vista! Dal parco ci si potrà poi spostare a San Mauro Pascoli nella meravigliosa Villa Torlonia, da visitare in occasione degli spettacoli speciali che la abiteranno… così come seguendo il Marecchia, merita andare a Rimini per vedere l’omaggio a Fellini di Delorian / Tagliarini. A fare da collante, passeggiate all’alba lungo il fiume a cura del progetto ERRANTE_sentieri dialoghi visioni. Un programma H24 che andrà quindi da proposte inattese a opere più consolidate, ma sempre su quel crinale d’incertezza che dà al nostro lavoro senso e diritto di esistere. Tanti saranno gli spettacoli che “non abbiamo visto prima” perché era impossibile spostarsi, o perché sono opere nate proprio nel vuoto del lockdown o frutto di lunghissimi percorsi di ricerca e lenta metamorfosi, che incontreranno i primi sguardi proprio al Festival. E anche questo non ci fa paura: schiudersi alla città con un programma in parte Unknown (per citare un bel progetto di Markus Öhrn di qualche anno fa), con proposte che in buona parte nascono e si modellano su e per i luoghi del Festival e si fondano su dei patti di fiducia fortissimi fra noi e gli artistə coinvoltə, è un’altra grande sfida che abbiamo ritenuto giusto accogliere. Sarebbe stato facile affidarsi a grandi nomi o spettacoli comunque già circuitanti… abbiamo preferito “prenderci cura” con i mezzi sempre insufficienti – e lo dobbiamo ribadire – che un Festival con questa missione ha, di artistə con cui volevamo davvero entrare in contatto, umanamente, al di là della facciata promozionale, per metterci in gioco, rischiando, tanto, troppo? Chi può stabilire un limite di questi tempi. Noi non vogliamo, e avanziamo a testa bassa come capre, arrampicando su pareti ripide per guardare indietro da un altro punto di vista, e poi riprendere il cammino.
Le/gli umane/i devono lottare per la sopravvivenza dell’intera Terra, perché è in essa che sono radicate/i, assieme a tutte le forme di vita organiche, artificiali o non-umane, cyborg, creature altre, mostruose e inappropriate/iabili.
Angela Balzano
dall’introduzione a Le promesse dei mostri di Donna Haraway
Daniela Nicolò, Enrico Casagrande
Direzione Artistica Santarcangelo Festival