1997
Bisogna azzerare tutto.
E non fare niente, si potrebbe dire con un paradosso. Se poi le cose avvengono, che siano le benvenute, nessuno si oppone. Ma non aspettarsi assolutamente niente e fare, comunque.
Per esempio, la critica è da azzerare totalmente; l'arte attorica, perché venga salvata, è da azzerare totalmente; la drammaturgia è da azzerare totalmente; il concetto di spettatore è da azzerare totalmente. È necessario fare il deserto, e dal deserto può venire qualsiasi cosa, se c'è qualcuno che lo annaffia... Può anche venire il miraggio, così come ci hanno abituati, o può avvenire la morte, in mancanza d'altro.
Ma questo deserto rappresenta la condizione ideale per ripartire da capo, in modo molto più disincantato.
Non vuol dire non avere più quella stessa propulsione attiva nella società, significa non aspettarsi automaticamente qualcosa, un pensiero non meccanicistico, ma dinamico.
Sarà comunque questo il mio comportamento da oggi in poi: nel mio teatro, nel mio modo di stare in scena.
Bisogna fare teatro senza aspettarsi il consenso, né andando gratuitamente contro.
L'andare contro è stato un momento importantissimo: ci sono periodi storici in cui è necessario contrapporsi. Ma se questa scelta viene perpetuata senza avere le stesse forti motivazioni, vi è semplicemente una ripetizione che è mancanza di libertà, che è regressiva.
Bisogna tornare a pensare al genio dell'attore; l'attore genio fa passare anche l'Ulisse di Joyce, consente l’incontro, è nato per questo. Ma non dà un'interpretazione di Joyce, o di Shakespeare...
L'attore è. Poi ha, come supporto verbale o di pensiero mobile, se gli occorre, Shakespeare, Pascoli, una barzelletta... Ogni artista sceglie il medium che gli serve di più, il gesto, il suono, Leopardi.
L'attore è il teatro, insieme con lo spettatore.
Non si può bleffare se c'è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell'altro, dell'ignoto, della vita, della morte.
L’arte attorica va salvaguardata dalle confusioni che ne stanno demolendo le basi, altrimenti fra dieci o vent’anni non esisterà più.
C'è una sorta di terrorismo culturale. Siamo di fronte alla cultura ignorante e all'ignoranza mascherata. Se trent'anni fa la musica contemporanea faceva chic, oggi possiamo tranquillamente dire che - quasi tutta - è inascoltabile. Dopo Pierrot Lunaire di A. Schonberg gli stonati di tutto il mondo si sono uniti...
Ignoranza che non significa "non conoscere e cercare di capire", in senso quindi positivo, bensì ignoranza che è espressione di pregiudizio. L'ignoranza culturale genera un'ignoranza interpretativa da parte del pubblico, che si affida così, ciecamente, all'interpretazione dei critici, ad una strutturazione e divisione tra tendenze per modellare il giudizio.
Il critico dovrebbe essere un poeta.
Il frutto che nasce da un albero è naturale. L'opera d'arte è come un frutto naturale, non è mai un processo artificiale; così come l'uomo, l'albero, l'Infinito di Leopardi e una mela sono fondamentalmente la stessa cosa: sono tutti una mini-gnosi del mondo.
Il critico, prendendo questo frutto, potrebbe produrne a sua volta un altro: un equilibrio naturale fra questi diversi frutti: questo, dovrebbe essere la critica.
Togliere etichette, mode, equivoci; non si può sostenere una cosa ed il suo esatto contrario... non si può dire che Hitler sia Marx: bisognerebbe avere una visione apertissima, raggiungere la divinità per dire ciò, ma a questo punto non si parlerebbe neanche più di teatro.
In questo deserto-morte per la rinascita, va azzerato anche il rapporto con le istituzioni.
Non c'è possibilità di dialogo.
Partito da una netta contrapposizione, extra parlamentare, anarchico, ho tentato poi di aprire un dialogo leale e non di clientela. Come il saggio che si mette alla ricerca e dice: "Questa è una pietra, va bene, però voglio vedere che cosa è”. Impiega un millennio per capire che cosa è: è una pietra. Però adesso lo sa.
Così, adesso, io so.
Come artista mi trovo oggi a dover fare una grande chiusura, togliere le frange inutili, cercare un'altra tattica.
Chiusura in nome di un'apertura, anche se sembra un gioco di parole, altrimenti non sarebbe più teatro e quindi neanche vita.
Ognuno deve assumersi le proprie responsabilità.
Per Santarcangelo '97 penso ad una testimonianza degli artisti, qualcosa di molto semplice, bastano fotocopie, interviste da far circolare...
E penso ad un Prologo che contrariamente agli altri anni, sarà temporalmente unito al Festival, per consentire l'incontro di alcune realtà teatrali finora emarginate, con un più vasto pubblico, senza il filtro selettivo della direzione artistica.
Lo scopo di Santarcangelo è quello di essere un laboratorio per connettere passato e futuro attraverso il presente dell'evento. Da tempo proponiamo alle istituzioni di pensare a Santarcangelo in questi termini, cosa che finora non è state possibile per la disattenzione economica e politica delle istituzioni stesse; non solo: i soldi non ci sono neppure per fare il Festival. Ogni anno conosciamo solo all’ultimo momento l'entità dei vari contributi: ciò significa che è quasi impossibile portare avanti serenamente le programmazioni. E noi siamo sempre stati costretti a dare agli artisti poco più che un rimborso delle spese vive, con decisioni forzatamente prese all'ultimo momento. Per problemi economici, abbiamo dovuto sostituire i quaderni di Santarcangelo - che spedivamo uniti al programma - con un pieghevole.
Tutto ciò dopo quattro anni in cui il Festival è cresciuto per numero di spettatori e di spettacoli, dibattiti, ricchezza di proposte.
220 milioni per le spese artistiche di Santarcangelo '94 - mia prima direzione artistica
280 milioni per Santarcangelo ‘95
310 milioni per Santarcangelo '96
220 milioni per Santarcangelo ‘97.
La cultura è un motore, è una visione del mondo che, prima o poi, vince.
Se non c'è cultura non c'è visione del mondo.
Interroghiamoci seriamente.
da "Dialogo all’ombra del Lingam", intervista di Antonio Cipriani a Leo de Berardinis
LEO DE BERARDINIS
Direzione Artistica
1 - 13 luglio 1997
E non fare niente, si potrebbe dire con un paradosso. Se poi le cose avvengono, che siano le benvenute, nessuno si oppone. Ma non aspettarsi assolutamente niente e fare, comunque.
Per esempio, la critica è da azzerare totalmente; l'arte attorica, perché venga salvata, è da azzerare totalmente; la drammaturgia è da azzerare totalmente; il concetto di spettatore è da azzerare totalmente. È necessario fare il deserto, e dal deserto può venire qualsiasi cosa, se c'è qualcuno che lo annaffia... Può anche venire il miraggio, così come ci hanno abituati, o può avvenire la morte, in mancanza d'altro.
Ma questo deserto rappresenta la condizione ideale per ripartire da capo, in modo molto più disincantato.
Non vuol dire non avere più quella stessa propulsione attiva nella società, significa non aspettarsi automaticamente qualcosa, un pensiero non meccanicistico, ma dinamico.
Sarà comunque questo il mio comportamento da oggi in poi: nel mio teatro, nel mio modo di stare in scena.
Bisogna fare teatro senza aspettarsi il consenso, né andando gratuitamente contro.
L'andare contro è stato un momento importantissimo: ci sono periodi storici in cui è necessario contrapporsi. Ma se questa scelta viene perpetuata senza avere le stesse forti motivazioni, vi è semplicemente una ripetizione che è mancanza di libertà, che è regressiva.
Bisogna tornare a pensare al genio dell'attore; l'attore genio fa passare anche l'Ulisse di Joyce, consente l’incontro, è nato per questo. Ma non dà un'interpretazione di Joyce, o di Shakespeare...
L'attore è. Poi ha, come supporto verbale o di pensiero mobile, se gli occorre, Shakespeare, Pascoli, una barzelletta... Ogni artista sceglie il medium che gli serve di più, il gesto, il suono, Leopardi.
L'attore è il teatro, insieme con lo spettatore.
Non si può bleffare se c'è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell'altro, dell'ignoto, della vita, della morte.
L’arte attorica va salvaguardata dalle confusioni che ne stanno demolendo le basi, altrimenti fra dieci o vent’anni non esisterà più.
C'è una sorta di terrorismo culturale. Siamo di fronte alla cultura ignorante e all'ignoranza mascherata. Se trent'anni fa la musica contemporanea faceva chic, oggi possiamo tranquillamente dire che - quasi tutta - è inascoltabile. Dopo Pierrot Lunaire di A. Schonberg gli stonati di tutto il mondo si sono uniti...
Ignoranza che non significa "non conoscere e cercare di capire", in senso quindi positivo, bensì ignoranza che è espressione di pregiudizio. L'ignoranza culturale genera un'ignoranza interpretativa da parte del pubblico, che si affida così, ciecamente, all'interpretazione dei critici, ad una strutturazione e divisione tra tendenze per modellare il giudizio.
Il critico dovrebbe essere un poeta.
Il frutto che nasce da un albero è naturale. L'opera d'arte è come un frutto naturale, non è mai un processo artificiale; così come l'uomo, l'albero, l'Infinito di Leopardi e una mela sono fondamentalmente la stessa cosa: sono tutti una mini-gnosi del mondo.
Il critico, prendendo questo frutto, potrebbe produrne a sua volta un altro: un equilibrio naturale fra questi diversi frutti: questo, dovrebbe essere la critica.
Togliere etichette, mode, equivoci; non si può sostenere una cosa ed il suo esatto contrario... non si può dire che Hitler sia Marx: bisognerebbe avere una visione apertissima, raggiungere la divinità per dire ciò, ma a questo punto non si parlerebbe neanche più di teatro.
In questo deserto-morte per la rinascita, va azzerato anche il rapporto con le istituzioni.
Non c'è possibilità di dialogo.
Partito da una netta contrapposizione, extra parlamentare, anarchico, ho tentato poi di aprire un dialogo leale e non di clientela. Come il saggio che si mette alla ricerca e dice: "Questa è una pietra, va bene, però voglio vedere che cosa è”. Impiega un millennio per capire che cosa è: è una pietra. Però adesso lo sa.
Così, adesso, io so.
Come artista mi trovo oggi a dover fare una grande chiusura, togliere le frange inutili, cercare un'altra tattica.
Chiusura in nome di un'apertura, anche se sembra un gioco di parole, altrimenti non sarebbe più teatro e quindi neanche vita.
Ognuno deve assumersi le proprie responsabilità.
Per Santarcangelo '97 penso ad una testimonianza degli artisti, qualcosa di molto semplice, bastano fotocopie, interviste da far circolare...
E penso ad un Prologo che contrariamente agli altri anni, sarà temporalmente unito al Festival, per consentire l'incontro di alcune realtà teatrali finora emarginate, con un più vasto pubblico, senza il filtro selettivo della direzione artistica.
Lo scopo di Santarcangelo è quello di essere un laboratorio per connettere passato e futuro attraverso il presente dell'evento. Da tempo proponiamo alle istituzioni di pensare a Santarcangelo in questi termini, cosa che finora non è state possibile per la disattenzione economica e politica delle istituzioni stesse; non solo: i soldi non ci sono neppure per fare il Festival. Ogni anno conosciamo solo all’ultimo momento l'entità dei vari contributi: ciò significa che è quasi impossibile portare avanti serenamente le programmazioni. E noi siamo sempre stati costretti a dare agli artisti poco più che un rimborso delle spese vive, con decisioni forzatamente prese all'ultimo momento. Per problemi economici, abbiamo dovuto sostituire i quaderni di Santarcangelo - che spedivamo uniti al programma - con un pieghevole.
Tutto ciò dopo quattro anni in cui il Festival è cresciuto per numero di spettatori e di spettacoli, dibattiti, ricchezza di proposte.
220 milioni per le spese artistiche di Santarcangelo '94 - mia prima direzione artistica
280 milioni per Santarcangelo ‘95
310 milioni per Santarcangelo '96
220 milioni per Santarcangelo ‘97.
La cultura è un motore, è una visione del mondo che, prima o poi, vince.
Se non c'è cultura non c'è visione del mondo.
Interroghiamoci seriamente.
da "Dialogo all’ombra del Lingam", intervista di Antonio Cipriani a Leo de Berardinis
LEO DE BERARDINIS
Direzione Artistica
1 - 13 luglio 1997