1977
15 - 31 luglio
direzione artistica PIERO PATINO
Festival rinnovato
di Piero Patino
Gioverà ritornare, in questa sede di presentazione del settimo festival, a fare alcune considerazioni intorno a questioni sulle quali ripetutamente abbiamo scritto e detto in questi sette anni di direzione artistica.
Giova farlo per noi stessi e per coloro che concordano sulla nostra linea culturale di fondo (per una elementare opportunità di verifica periodica di validità), nonché per coloro che alimentano positivamente tale linea con contributi critici partendo, a volte, da posizioni culturali diverse dalle nostre ma con le quali é necessario ed utile il confronto dialettico, sempre apportatore di benefici risultati.
Giova farlo soprattutto per coloro che (pochi, ma ve ne sono), pur incapaci di formulazione di Iinee alternative e privi di un'apprezzabilmente seria e rigorosa piattaforma su cui posare i Ioro rilievi, tuttavia sparano periodiche raffiche contro la nostra iniziativa. In questi casi, come sempre accade in simili occasioni, costoro cercano di ovviare alla mancanza di idee e di capacità critica, con il fracasso delle parole e con gli aquiloni della demagogia. Alcuni, molto vicini fisicamente e logisticamente al festival, ne distano, in realta, anni luce quanto alla volontà di effettuare una seria disamina e quindi realizzare una sufficiente conoscenza delle componenti di questo fatto teatrale e culturale.
La fisionomia che il nostro festival si è dato fin dall'anno della sua «creazione» (1971), non é equivocabile, né casuale, né generica e tanto meno approssimativa: e la risultante di una serie di componenti alla cui origine non é certo estranea una pressante spinta ideale.
Certamente, i valori ideaIinon si acquistano al mercato, né vi si trovano i risultati rche da essi derivano. Essendo il frutto della formazione storica di ciascuno di noi, anche sotto il profilo individuale, non sono gli stessi per tutti, com'é ovvio. Non possono, ne consegue, essere le stesse per tutti, le proiezioni di quei valori, specie, ed é cio ‘che qui ci interessa, quando si tratta di proiezioni nel «fare» culturale dato che proprio nei fatti di cultura essi trovano uno dei riscontri più impegnativi.
Come si fa a dire o, peggio, a scrivere (come da taluno é stato fatto) che il festival deve diventare un fatto di tutti e deve soddisfare tutti? Qual'è un fatto culturale, da che mondo e mondo, che abbia «soddisfatto» tutti?
Forse cio é possibile solo valutando storicamente eventi trascorsi da secoli e quindi stemperati daIl’acquisita freddezza obiettiva. Dov'e la cultura che accontenta tutti? Come fa, un elemento dirompente, figlia e madre di dubbi e di lacerazioni ma sempre prodiga di risultati provvidi, come la cultura, fonte di lotte e di progresso, di dialettica, di assensi e dissensi, ad avere uguale va lore e significato per tutti? A caso e per scrivere i primi nomi che vengono in mente assieme alle vicende storiche che Ii hanno riguardati, hanno forse «accontentato» tutti Galileo o Spinoza, Dante, Leonardo, Shakespeare, Socrate, Russel, Gramsci, Goya e mille altri fino, per dir dei nostri giorni, a Pasolini? ll neutralismo accomodante e asettico (si parla di neutralismo culturale) appartiene a categoria cui ogni vento di cultura é assoIutamenete estraneo. Come è pensabile una seria operazione culturale se questa non sollecita, a diversi livelli, le facoltà critiche delI’uomo? E pretendere uguali reazioni critiche da entità diverse significa ritenere, in pratica, che quelle entità finiscano coll’essere uguali fra Ioro e tutti uguali a robot. In definitiva, uomini acritici, non costruttivi, ma passivi ricevitori, assorbenti qual si voglia cosa. Oppure significa voler paternalisticamente somministrare loro cose di finta cultura, di fronte alle quali non reagiscono per la sostanziale inutilità di quanto somministrato.
Ecco perché, Iungi da un'accurata disamina del nostro, per molte cose manchevole e criticabile festival, l’origine del «festival per tutti» o del «festival nuovo», ecc. inerisce piu alla sfera del pressapochismo orecchiante che non a quella delle consapevoli e credibili valutazioni. Piu all’ambito delle parole che a quello delle cose.
Sostengono ,inoltre, questi critici improvvisati, che un festival democratico come noi vogliamo e sosteniamo sia già il nostro, dovrebbe implicare maggior democrazia nella gestione, nelle scelte, ecc.
A parte il fatto che il Consorzio che gestisce il festival è istituzione democratica sia quanto a rappresentanza dei consorziati sia quanto ad organi con diversi poteri (assemblea, comitato direttivo, Presidenza, organi dicontrollo, direzione artistica) che significa «maggiore democrazia» ?
Forse elaborazione collettiva del «taglio» della rassegna? Ma questa gia c'e nell’assemblea rappresentativa e la sostanza non varierebbe anche aumentando il numero dei rappresentanti degli enti consociati e delle forze politiche. Anche in un ipotetico rapporto di base assembleare totale, nulla cambierebbe. Ovvero si vuole annullare o invertire il rapporto di maggioranza-minoranza che, almeno quanto al criterio d'origine, esiste negli organismi del Consorzio che cosi riflettono esattamente la composizione sociale e la volontà popolare? Ma ciò sarebbe antidemocratico.
Oppure si ritengono democratici solo gli organismi ai quali partecipano personalmente certi «critici» nostri?
Sarebbe come dire che il Parlamento non é istituzione democratica solo perché noi non siamo deputati.
Forse intendono alludere alla direzione artistica? Ma questa è una funzione professionale, esecutiva, tecnica: come un'operazione chirurgica é bene sia fatta da un chirurgo o un ponte da un’ingegnere, così è normale che un'iniziativa teatrale sia eseguita da un teatrante.
O forse intendono alludere al «rapporto col territorio», frase famosa usata ed abusata, dietro la quale si può voler dire tutto o, più spesso, niente di preciso o precisato?
E parliamone. Parliamo del rapporto che col territorio deve avere, sì, il nostro festival, come gran parte delle iniziative culturali.
E parlando di questo, parliamo del festival nuovo o, meglio, rinnovato, come lo intendiamo noi, che siamo sempre stati convinti assertori del necessario costante rinnovamento dell’iniziativa.
Vi possono essere due modi di intendere il cosiddetto rapporto fra l'iniziativa culturale ed il territorio su cui insiste. Un modo riduttivo ed uno qualificante.
ll primo consiste nel voler ridurre a dimensione della ricettività e della disponibilità «locale», diremmo a «gusto» locale il fatto di cultura, nel senso che si presuma il territorio e la sua gente con le sue tradizionali formazioni e quindi con le sue abitudini, il suo modus di ricevere fatti culturali, come unità di misura per questi ultimi. Per cui, ciò che rientra in quel barattolo stretto é valido, ciò che, pur buono, ne esce é inutile. Per cui si privilegiano gli eventi e le espressioni del luogo solo perché del luogo e così si fa della origine logistica il criterio differenziale fra validità o meno. Cio, si intende, detto in sintesi.
C’é, pero, un altro modo di intendere, e noi siamo per quest’ultimo, il rapporto fra evento culturale e Iuogo: ritenere unità di misura il valore estetico di un evento e, su questo, far confrontare costruttivamente e in continue mediazioni dialettiche, le potenzialità locali.
ll primo modo di intendere il rapporto non può che condurre al vicolo cieco da cui promana: l’autarchia campanilistica e provinciale, I'autosufficienza municipalistica e compiaciuta di se stessa e, sostanzialmente, la frustrante inutilita del tutto. Un ghetto depresso e deprimente che ci ricorda quello in cui si era chiusa la cosiddetta cultura fascista che impediva le visioni di Eisenstein per valorizzare i famosi films dei telefoni bianchi, che non riceveva Brecht preferendogli C.G. Viola, che si esprimeva attraverso scrittori come Lucio D'Ambra e Guido Milanesi, ecc.
L’aItro modo di intendere il rapporto di cui parliamo e fondato proprio su opposti elementi e cioe sul confronto, su reciproca scambio fra l’«interno» e «l’esterno»,
privilegiando l‘evento culturale di valore dovunque esso si manifesti, dentro o fuori il territorio. E se, per ipotesi, nulla di accettabile, sotto il profilo artistico o culturale, é nel territorio e nell'ambiente, nulla di quell'ambiente verra rilevato per essere valutato o rivalutato. Ecco in che termini intendiamo il costante rinnovamento del festival: costante ricerca di autonomia creativa eoriginalità, capacità espressiva e potenzialità di ampio respiro di valori locali e ambientali.
Giacchè non ogni disponibilità ambientale, valida o meno nelle espressioni, assurge a fatto di rilievo artistico e non ogni fatto artistico e di per sé stesso idoneo ad essere giustamente e attivamente recapito comunque e ovunque.
Ecco perché i «fatti di base», se privi di opportuno respiro e, se si vuole, anche di tecnica espressiva moderna, divengono solo ripiegamenti contemplativi quasi archeologici, comunque municipalistici e finiscono col reprimere ogni energia originale e creativa.
Cosi come un evento artistico quando é calato dall'alto, se è vero che, proprio perché artistico, produce sempre una reazione positiva, tuttavia, questa e limitata rispetto alla potenzialità (per la sua origine) ed ancor più contenuta in quanto episodica.
Ed allora, nell'opera di avvicinamento, non artificioso e dal di fuori, ma «intimo» dei due elementi, bisogna procedere attraverso successivi punti d’equilibrio, successive tappe.
In questo senso, festival rinnovato significa, come noi intendiamo, festival attento al continuo modificarsi e rinnovarsi della realtà strettamente locale e nazionale, sia sotto il profilo del mutamento delle problematiche e delle situazioni, sia sotto il profilo del rinnovarsi perpetuo delle espressioni estetiche. Festival sempre nuovo, nel senso di festival contemporaneo, non avulso da tutto e quindi sulle nuvole di espressioni formali calligrafiche, e neppure greve nel suo aderire alla realtà al punto da non sapere, partendo da essa, trascenderla fine a pervenire a valori obiettivi.
E la linea che ha il nostro festival è tale da consentire ciò, anzi è quella e non altra, proprio per consentire ciò.
Non a caso il nostro é teatro in piazza ove la piazza non e l'eIemento logistico in sé, bensi la componente emblematica di un modo di fare cultura, in mezzo alla gente ed ai suoi problemi ed umori, nel suo habitat: agire assieme alla gente, non consentenndo, però, i facili autocompiacimenti del ritrovarsi fine a se stesso, ciò che sarebbe cosa ovvia e priva di sbocchi evolutivi, statica.
Fin dalla sua nascita, il festival si è dato la sua fisionomia: democratica, antifascista, anticonsumistica. Ma ciò, ne siamo sempre stati consapevoli, se è necessario quale base, tuttavia non è sufficiente a garantire una organica evoluzione se non si procede attraverso un continuo aggiornamento, rinnovamento: né questi possono essere casuali o cervellotici, ma espressione di un mutarsi di case tutt’intorno, anzi, proiezione di tale mutarsi delle cose, delle situazioni, degli uomini, dei loro valori contingenti.
E così, per quanto ci riguarda, si trattava e si tratta di sperimentare un rapporto complesso basato sostanzialmente su tre elementi fondamentali ed irrinunciabili per la realizzazione della linea culturale che ci eravamo prefissi per il festival del teatro in piazza: i destinatari dell'evento culturale nuovo così creato, le tematiche attraverso le quali stabilire il rapporto di reciproca comunicazione fra il teatro ed appunto quei destinatari e, infine, i luoghi affatto nuovi e non tradizionalmente deputati al teatro nei quali dar vita all'evento. Luoghi, tematiche e destinatari, in rapporto di costante condizionamento reciproco: un condizionamento intimo, strutturale, non posticcio o astrattamente pensato.
E cio anche perché abbiamo sempre attribuito al teatro la caratteristica di evento sociale, oltre che artistico e culturale. Ogni epoca ha il suo teatro e l'epoca contemporanea, caratterizzata dai rapporti collettivi e dai processi collettivi e dalla maniera in cui ciascuno si pone come membro di una collettività, un teatro serio non può non ricevere e riproporre, sia pure attraverso il filtro estetico del palcoscenco, i conflitti collettivi. Ecco perché teatro con il popolo, in piazza e per Ie strade e non già teatro per élites privilegiate, in salotto. Ma per fare ciò, bisogna avere subito il coraggio di fare quanto abbiamo fatto a Santarcangelo in questi anni: decidere di non volere affatto accontentare tutti con il festival.
Lasciamo ad altri teorizzare di neutralismo qualunquista: intransigenti nel rispettare la nostra coscienza di uomini amanti del progresso, di uomini liberi proprio perché di parte (intendiamo per «parte» una posizione in questo caso non tanto politica quanto soprattutto culturale), insisteremo, pur fra mille errori e difetti, nel riaffermare le linee programmatiche e di sviluppo del festival di Santarcangelo, convinti come siamo che tale iniziativa é parte, sia pur modesta, minima, di una più grande battaglia ideale che non intendiamo disertare.
Download the catalogue
direzione artistica PIERO PATINO
Festival rinnovato
di Piero Patino
Gioverà ritornare, in questa sede di presentazione del settimo festival, a fare alcune considerazioni intorno a questioni sulle quali ripetutamente abbiamo scritto e detto in questi sette anni di direzione artistica.
Giova farlo per noi stessi e per coloro che concordano sulla nostra linea culturale di fondo (per una elementare opportunità di verifica periodica di validità), nonché per coloro che alimentano positivamente tale linea con contributi critici partendo, a volte, da posizioni culturali diverse dalle nostre ma con le quali é necessario ed utile il confronto dialettico, sempre apportatore di benefici risultati.
Giova farlo soprattutto per coloro che (pochi, ma ve ne sono), pur incapaci di formulazione di Iinee alternative e privi di un'apprezzabilmente seria e rigorosa piattaforma su cui posare i Ioro rilievi, tuttavia sparano periodiche raffiche contro la nostra iniziativa. In questi casi, come sempre accade in simili occasioni, costoro cercano di ovviare alla mancanza di idee e di capacità critica, con il fracasso delle parole e con gli aquiloni della demagogia. Alcuni, molto vicini fisicamente e logisticamente al festival, ne distano, in realta, anni luce quanto alla volontà di effettuare una seria disamina e quindi realizzare una sufficiente conoscenza delle componenti di questo fatto teatrale e culturale.
La fisionomia che il nostro festival si è dato fin dall'anno della sua «creazione» (1971), non é equivocabile, né casuale, né generica e tanto meno approssimativa: e la risultante di una serie di componenti alla cui origine non é certo estranea una pressante spinta ideale.
Certamente, i valori ideaIinon si acquistano al mercato, né vi si trovano i risultati rche da essi derivano. Essendo il frutto della formazione storica di ciascuno di noi, anche sotto il profilo individuale, non sono gli stessi per tutti, com'é ovvio. Non possono, ne consegue, essere le stesse per tutti, le proiezioni di quei valori, specie, ed é cio ‘che qui ci interessa, quando si tratta di proiezioni nel «fare» culturale dato che proprio nei fatti di cultura essi trovano uno dei riscontri più impegnativi.
Come si fa a dire o, peggio, a scrivere (come da taluno é stato fatto) che il festival deve diventare un fatto di tutti e deve soddisfare tutti? Qual'è un fatto culturale, da che mondo e mondo, che abbia «soddisfatto» tutti?
Forse cio é possibile solo valutando storicamente eventi trascorsi da secoli e quindi stemperati daIl’acquisita freddezza obiettiva. Dov'e la cultura che accontenta tutti? Come fa, un elemento dirompente, figlia e madre di dubbi e di lacerazioni ma sempre prodiga di risultati provvidi, come la cultura, fonte di lotte e di progresso, di dialettica, di assensi e dissensi, ad avere uguale va lore e significato per tutti? A caso e per scrivere i primi nomi che vengono in mente assieme alle vicende storiche che Ii hanno riguardati, hanno forse «accontentato» tutti Galileo o Spinoza, Dante, Leonardo, Shakespeare, Socrate, Russel, Gramsci, Goya e mille altri fino, per dir dei nostri giorni, a Pasolini? ll neutralismo accomodante e asettico (si parla di neutralismo culturale) appartiene a categoria cui ogni vento di cultura é assoIutamenete estraneo. Come è pensabile una seria operazione culturale se questa non sollecita, a diversi livelli, le facoltà critiche delI’uomo? E pretendere uguali reazioni critiche da entità diverse significa ritenere, in pratica, che quelle entità finiscano coll’essere uguali fra Ioro e tutti uguali a robot. In definitiva, uomini acritici, non costruttivi, ma passivi ricevitori, assorbenti qual si voglia cosa. Oppure significa voler paternalisticamente somministrare loro cose di finta cultura, di fronte alle quali non reagiscono per la sostanziale inutilità di quanto somministrato.
Ecco perché, Iungi da un'accurata disamina del nostro, per molte cose manchevole e criticabile festival, l’origine del «festival per tutti» o del «festival nuovo», ecc. inerisce piu alla sfera del pressapochismo orecchiante che non a quella delle consapevoli e credibili valutazioni. Piu all’ambito delle parole che a quello delle cose.
Sostengono ,inoltre, questi critici improvvisati, che un festival democratico come noi vogliamo e sosteniamo sia già il nostro, dovrebbe implicare maggior democrazia nella gestione, nelle scelte, ecc.
A parte il fatto che il Consorzio che gestisce il festival è istituzione democratica sia quanto a rappresentanza dei consorziati sia quanto ad organi con diversi poteri (assemblea, comitato direttivo, Presidenza, organi dicontrollo, direzione artistica) che significa «maggiore democrazia» ?
Forse elaborazione collettiva del «taglio» della rassegna? Ma questa gia c'e nell’assemblea rappresentativa e la sostanza non varierebbe anche aumentando il numero dei rappresentanti degli enti consociati e delle forze politiche. Anche in un ipotetico rapporto di base assembleare totale, nulla cambierebbe. Ovvero si vuole annullare o invertire il rapporto di maggioranza-minoranza che, almeno quanto al criterio d'origine, esiste negli organismi del Consorzio che cosi riflettono esattamente la composizione sociale e la volontà popolare? Ma ciò sarebbe antidemocratico.
Oppure si ritengono democratici solo gli organismi ai quali partecipano personalmente certi «critici» nostri?
Sarebbe come dire che il Parlamento non é istituzione democratica solo perché noi non siamo deputati.
Forse intendono alludere alla direzione artistica? Ma questa è una funzione professionale, esecutiva, tecnica: come un'operazione chirurgica é bene sia fatta da un chirurgo o un ponte da un’ingegnere, così è normale che un'iniziativa teatrale sia eseguita da un teatrante.
O forse intendono alludere al «rapporto col territorio», frase famosa usata ed abusata, dietro la quale si può voler dire tutto o, più spesso, niente di preciso o precisato?
E parliamone. Parliamo del rapporto che col territorio deve avere, sì, il nostro festival, come gran parte delle iniziative culturali.
E parlando di questo, parliamo del festival nuovo o, meglio, rinnovato, come lo intendiamo noi, che siamo sempre stati convinti assertori del necessario costante rinnovamento dell’iniziativa.
Vi possono essere due modi di intendere il cosiddetto rapporto fra l'iniziativa culturale ed il territorio su cui insiste. Un modo riduttivo ed uno qualificante.
ll primo consiste nel voler ridurre a dimensione della ricettività e della disponibilità «locale», diremmo a «gusto» locale il fatto di cultura, nel senso che si presuma il territorio e la sua gente con le sue tradizionali formazioni e quindi con le sue abitudini, il suo modus di ricevere fatti culturali, come unità di misura per questi ultimi. Per cui, ciò che rientra in quel barattolo stretto é valido, ciò che, pur buono, ne esce é inutile. Per cui si privilegiano gli eventi e le espressioni del luogo solo perché del luogo e così si fa della origine logistica il criterio differenziale fra validità o meno. Cio, si intende, detto in sintesi.
C’é, pero, un altro modo di intendere, e noi siamo per quest’ultimo, il rapporto fra evento culturale e Iuogo: ritenere unità di misura il valore estetico di un evento e, su questo, far confrontare costruttivamente e in continue mediazioni dialettiche, le potenzialità locali.
ll primo modo di intendere il rapporto non può che condurre al vicolo cieco da cui promana: l’autarchia campanilistica e provinciale, I'autosufficienza municipalistica e compiaciuta di se stessa e, sostanzialmente, la frustrante inutilita del tutto. Un ghetto depresso e deprimente che ci ricorda quello in cui si era chiusa la cosiddetta cultura fascista che impediva le visioni di Eisenstein per valorizzare i famosi films dei telefoni bianchi, che non riceveva Brecht preferendogli C.G. Viola, che si esprimeva attraverso scrittori come Lucio D'Ambra e Guido Milanesi, ecc.
L’aItro modo di intendere il rapporto di cui parliamo e fondato proprio su opposti elementi e cioe sul confronto, su reciproca scambio fra l’«interno» e «l’esterno»,
privilegiando l‘evento culturale di valore dovunque esso si manifesti, dentro o fuori il territorio. E se, per ipotesi, nulla di accettabile, sotto il profilo artistico o culturale, é nel territorio e nell'ambiente, nulla di quell'ambiente verra rilevato per essere valutato o rivalutato. Ecco in che termini intendiamo il costante rinnovamento del festival: costante ricerca di autonomia creativa eoriginalità, capacità espressiva e potenzialità di ampio respiro di valori locali e ambientali.
Giacchè non ogni disponibilità ambientale, valida o meno nelle espressioni, assurge a fatto di rilievo artistico e non ogni fatto artistico e di per sé stesso idoneo ad essere giustamente e attivamente recapito comunque e ovunque.
Ecco perché i «fatti di base», se privi di opportuno respiro e, se si vuole, anche di tecnica espressiva moderna, divengono solo ripiegamenti contemplativi quasi archeologici, comunque municipalistici e finiscono col reprimere ogni energia originale e creativa.
Cosi come un evento artistico quando é calato dall'alto, se è vero che, proprio perché artistico, produce sempre una reazione positiva, tuttavia, questa e limitata rispetto alla potenzialità (per la sua origine) ed ancor più contenuta in quanto episodica.
Ed allora, nell'opera di avvicinamento, non artificioso e dal di fuori, ma «intimo» dei due elementi, bisogna procedere attraverso successivi punti d’equilibrio, successive tappe.
In questo senso, festival rinnovato significa, come noi intendiamo, festival attento al continuo modificarsi e rinnovarsi della realtà strettamente locale e nazionale, sia sotto il profilo del mutamento delle problematiche e delle situazioni, sia sotto il profilo del rinnovarsi perpetuo delle espressioni estetiche. Festival sempre nuovo, nel senso di festival contemporaneo, non avulso da tutto e quindi sulle nuvole di espressioni formali calligrafiche, e neppure greve nel suo aderire alla realtà al punto da non sapere, partendo da essa, trascenderla fine a pervenire a valori obiettivi.
E la linea che ha il nostro festival è tale da consentire ciò, anzi è quella e non altra, proprio per consentire ciò.
Non a caso il nostro é teatro in piazza ove la piazza non e l'eIemento logistico in sé, bensi la componente emblematica di un modo di fare cultura, in mezzo alla gente ed ai suoi problemi ed umori, nel suo habitat: agire assieme alla gente, non consentenndo, però, i facili autocompiacimenti del ritrovarsi fine a se stesso, ciò che sarebbe cosa ovvia e priva di sbocchi evolutivi, statica.
Fin dalla sua nascita, il festival si è dato la sua fisionomia: democratica, antifascista, anticonsumistica. Ma ciò, ne siamo sempre stati consapevoli, se è necessario quale base, tuttavia non è sufficiente a garantire una organica evoluzione se non si procede attraverso un continuo aggiornamento, rinnovamento: né questi possono essere casuali o cervellotici, ma espressione di un mutarsi di case tutt’intorno, anzi, proiezione di tale mutarsi delle cose, delle situazioni, degli uomini, dei loro valori contingenti.
E così, per quanto ci riguarda, si trattava e si tratta di sperimentare un rapporto complesso basato sostanzialmente su tre elementi fondamentali ed irrinunciabili per la realizzazione della linea culturale che ci eravamo prefissi per il festival del teatro in piazza: i destinatari dell'evento culturale nuovo così creato, le tematiche attraverso le quali stabilire il rapporto di reciproca comunicazione fra il teatro ed appunto quei destinatari e, infine, i luoghi affatto nuovi e non tradizionalmente deputati al teatro nei quali dar vita all'evento. Luoghi, tematiche e destinatari, in rapporto di costante condizionamento reciproco: un condizionamento intimo, strutturale, non posticcio o astrattamente pensato.
E cio anche perché abbiamo sempre attribuito al teatro la caratteristica di evento sociale, oltre che artistico e culturale. Ogni epoca ha il suo teatro e l'epoca contemporanea, caratterizzata dai rapporti collettivi e dai processi collettivi e dalla maniera in cui ciascuno si pone come membro di una collettività, un teatro serio non può non ricevere e riproporre, sia pure attraverso il filtro estetico del palcoscenco, i conflitti collettivi. Ecco perché teatro con il popolo, in piazza e per Ie strade e non già teatro per élites privilegiate, in salotto. Ma per fare ciò, bisogna avere subito il coraggio di fare quanto abbiamo fatto a Santarcangelo in questi anni: decidere di non volere affatto accontentare tutti con il festival.
Lasciamo ad altri teorizzare di neutralismo qualunquista: intransigenti nel rispettare la nostra coscienza di uomini amanti del progresso, di uomini liberi proprio perché di parte (intendiamo per «parte» una posizione in questo caso non tanto politica quanto soprattutto culturale), insisteremo, pur fra mille errori e difetti, nel riaffermare le linee programmatiche e di sviluppo del festival di Santarcangelo, convinti come siamo che tale iniziativa é parte, sia pur modesta, minima, di una più grande battaglia ideale che non intendiamo disertare.
Download the catalogue
