2016
LINEE DI VOLO
I.
Da sempre costruito attraverso il rapporto tra creazione scenica e spazi quotidiani, pubblici e non deputati alle arti, il Festival innesca quest'anno la vibrazione, il combattimento o la danza tra due entità che si e soliti pensare come rigidamente separate e reciprocamente impermeabili: la realtà con la sua durezza di cristallo e la sua ostinazione a presentarsi come non trasformabile, e la finzione con la sua costellazione di mondi immaginari, così spesso ridotta allo spazio angusto del disimpegno o del divertimento, della distrazione cioè da ciò che solo e importante.
A Santarcangelo, realtà e finzione si rincorrono in un movimento elementare e complesso impastato dalle volontà e dagli impulsi di molte forze differenti, e il Festival si allarga come un liquido, occupando o lambendo spazi diversi della città e del territorio circostante, centrali o periferici, meravigliosi o respingenti, pubblici o privati: dalle bellissime grotte ipogee a un piccolo campo giochi poco frequentato, da una fabbrica di sistemi di confezionamento ora chiusa alle palestre di una scuola superiore, dal tetto della Casa del Popolo, oggi cinema e ufficio postale, alla rocca rinascimentale, dal greto del torrente Marecchia al punto in cui Santarcangelo trascolora dentro Rimini. Non si tratta, non questa volta almeno, semplicemente di piegare luoghi comuni a sale teatrali, quanto di creare uno spazio tra i luoghi e le creazioni artistiche: uno spazio in cui ciascuno dei due termini in gioco possa seguire la sua «linea di volo» [Deleuze-Guattari], e si crei una relazione che non si compie nel dialogo dell'uno con l'altro, ma nella loro «evoluzione aparallela» - una conversazione quindi tra realtà e finzione.
Attraverso molti dei lavori in programma e con le voci differenti e contrastanti di artisti che si misurano nella loro ricerca con questo spazio tra - da Bouchra Ouizguen ad Alessandro Sciarroni, da Zachary Oberzan a Mara Oscar Cassiani... - il Festival invita a immergersi nell'arte e nella finzione come in una possibilità di turbolenza del reale, una perturbazione. Invita a pensare l'arte e l'immaginazione come possibilità di estendere il reale e creare una realtà che comprenda, per un attimo almeno, anche l'invisibile, l'impossibile, l'operare del non umano, l'infinitamente piccolo e l'infinitamente grande, gli animali estinti e le galassie più lontane, i sentimenti che non sappiamo nominare e gli abissi così luminosi che conteniamo.
II.
L'ostinata, inesausta lezione dell'arte e la possibilità di continuare a cominciare, di collocarsi in un eterno inizio che sfugge alla legge della ripetizione nella misura in cui sa operare per scarti, si tradisce, si misura con un fare che non conosce.
Costruire un festival, abitarlo, guardarlo o attraversarlo sono tutte forme di questo iniziare, di cui è compito curatoriale predisporre o suggerire il tempo. Come indicano già dal titolo le due creazioni che si pongono idealmente a inaugurare e a concludere il ciclo del Festival, "La Nuit des taupes" di Philippe Quesne e "Natten" di Marten Spangberg, a Santarcangelo è quest'anno il tempo della notte, e dunque del sonno e del sogno.
Si puo sognare un sogno con altri? Può il teatro essere il luogo in cui abbandonarsi, insieme a degli sconosciuti, e vagare tra il sogno e la realtà della scena? A partire da queste e altre domande, Philippe Quesne invita a iniziare scendendo negli abissi sotterranei di un mondo fantastico e non umano, e Marten Spangberg a non smettere di iniziare, immergendosi insieme nello spazio indistinto e oscuro di una danza che prelude a un giorno nuovo. Incastonate tra queste due notti, diverse presenze hanno un andamento e una sostanza notturni, dalle azdore guidate da Markus Ohrn e Stefania ?Alos Pedretti al clubbing evocato da Michele Rizzo, dal preludio di Cristina Kristal Rizzo alla scena di Amir Reza Koohestani...
Della notte, il Festival esplora le forme di condivisione e prossimità agli altri, la possibilità di riparo dalle pressioni di visibilità e accessibilità che governano il giorno, l'invito silenzioso a tentare altre modalità di conoscenza, altre forme di presenza a sé, agli altri, al mondo. Una di queste, forse la più potente, è il sonno, «una assoluta interruzione del furto di tempo portato avanti dal capitalismo» [Jonathan Crary] che non produce alcun valore e non genera alcuna forma di comunicazione o socialità ma cela un mondo interiore misterioso anche al dormiente e immerge gli individui nell'universalità di un'esistenza che trascende l'umano.
III.
L'esperienza dello spettatore che si sposti dentro e tra le due mappe sovrapposte di realtà e finzione e che si immerga nell'oscurità generosa di notti che preludono a nuovi inizi è un'esperienza intima e al tempo stesso impersonale.
Un'esperienza rituale, se per rito si intende un accadimento che segna una differenza di natura tra un "prima" e un "dopo", una cerimonia che agisce un potere trasformativo o una procedura emancipatoria che crea condizioni di possibilità. Di molti riti sono
fatte le dieci giornate di Festival, dall'accensione del fuoco di Luigi De Angelis e Emanuele Wiltsch Barberio allo scatenamento di balli notturni di Michele Rizzo, Motus e Markus Öhrn, dalla grande e spaventosa impresa collettiva di Zapruder filmmakersgroup e ZEUS! al conto alla rovescia di Strasse...
Con questi e altri riti, Santarcangelo celebra il proprio cambiamento e inaugura un tempo fantastico dove può esistere anche quello che non ci sarà, come "L'oracolo della corona": un labirinto di cristalli -proprio la giostra da Luna Park - decorato con una grande corona luminosa e posto al centro della piazza. Questo labirinto, che durante il giorno segue il suo normale funzionamento di giostra, a una data ora della sera si trasformerebbe per una durata stabilita in oracolo, grazie agli interventi di artisti ogni volta diversi, invitati da Zapruder filmmakersgroup. Diverrebbe luogo di un sapere sul futuro, predizione misteriosa, che rimanda alla natura profonda dell'arte, sola pratica che si immerge nello sconosciuto non per conoscerlo ma per frequentarlo nella sua oscurità insondabile.
Non ci sarà, "L'oracolo della corona", e la sua assenza porta al centro della scena la durezza del reale, la fatica e la caparbietà con cui si cerca di rendere possibile un'idea, la necessità talvolta di arrendersi alla forma più brutale in cui la realtà si manifesta, statuendo un fatto come impossibile. E allora un oracolo senza corona quello che si potrà ascoltare in piazza, un oracolo che non nomina lo spazio in cui si manifesta, non attira in un labirinto ma fa di una città intera, dei suoi spazi resi instabili dalla vibrazione della scena, il proprio tempio. Un oracolo, figura puntuale che dice la potenza della parola d'artista, e anche del Festival e degli spettatori che la inseguono e si slanciano cosi in un'avventura che non finirà.
SILVIA BOTTIROLI
Direzione Artistica Santarcangelo Festival
8 - 17 luglio 2016
I.
Da sempre costruito attraverso il rapporto tra creazione scenica e spazi quotidiani, pubblici e non deputati alle arti, il Festival innesca quest'anno la vibrazione, il combattimento o la danza tra due entità che si e soliti pensare come rigidamente separate e reciprocamente impermeabili: la realtà con la sua durezza di cristallo e la sua ostinazione a presentarsi come non trasformabile, e la finzione con la sua costellazione di mondi immaginari, così spesso ridotta allo spazio angusto del disimpegno o del divertimento, della distrazione cioè da ciò che solo e importante.
A Santarcangelo, realtà e finzione si rincorrono in un movimento elementare e complesso impastato dalle volontà e dagli impulsi di molte forze differenti, e il Festival si allarga come un liquido, occupando o lambendo spazi diversi della città e del territorio circostante, centrali o periferici, meravigliosi o respingenti, pubblici o privati: dalle bellissime grotte ipogee a un piccolo campo giochi poco frequentato, da una fabbrica di sistemi di confezionamento ora chiusa alle palestre di una scuola superiore, dal tetto della Casa del Popolo, oggi cinema e ufficio postale, alla rocca rinascimentale, dal greto del torrente Marecchia al punto in cui Santarcangelo trascolora dentro Rimini. Non si tratta, non questa volta almeno, semplicemente di piegare luoghi comuni a sale teatrali, quanto di creare uno spazio tra i luoghi e le creazioni artistiche: uno spazio in cui ciascuno dei due termini in gioco possa seguire la sua «linea di volo» [Deleuze-Guattari], e si crei una relazione che non si compie nel dialogo dell'uno con l'altro, ma nella loro «evoluzione aparallela» - una conversazione quindi tra realtà e finzione.
Attraverso molti dei lavori in programma e con le voci differenti e contrastanti di artisti che si misurano nella loro ricerca con questo spazio tra - da Bouchra Ouizguen ad Alessandro Sciarroni, da Zachary Oberzan a Mara Oscar Cassiani... - il Festival invita a immergersi nell'arte e nella finzione come in una possibilità di turbolenza del reale, una perturbazione. Invita a pensare l'arte e l'immaginazione come possibilità di estendere il reale e creare una realtà che comprenda, per un attimo almeno, anche l'invisibile, l'impossibile, l'operare del non umano, l'infinitamente piccolo e l'infinitamente grande, gli animali estinti e le galassie più lontane, i sentimenti che non sappiamo nominare e gli abissi così luminosi che conteniamo.
II.
L'ostinata, inesausta lezione dell'arte e la possibilità di continuare a cominciare, di collocarsi in un eterno inizio che sfugge alla legge della ripetizione nella misura in cui sa operare per scarti, si tradisce, si misura con un fare che non conosce.
Costruire un festival, abitarlo, guardarlo o attraversarlo sono tutte forme di questo iniziare, di cui è compito curatoriale predisporre o suggerire il tempo. Come indicano già dal titolo le due creazioni che si pongono idealmente a inaugurare e a concludere il ciclo del Festival, "La Nuit des taupes" di Philippe Quesne e "Natten" di Marten Spangberg, a Santarcangelo è quest'anno il tempo della notte, e dunque del sonno e del sogno.
Si puo sognare un sogno con altri? Può il teatro essere il luogo in cui abbandonarsi, insieme a degli sconosciuti, e vagare tra il sogno e la realtà della scena? A partire da queste e altre domande, Philippe Quesne invita a iniziare scendendo negli abissi sotterranei di un mondo fantastico e non umano, e Marten Spangberg a non smettere di iniziare, immergendosi insieme nello spazio indistinto e oscuro di una danza che prelude a un giorno nuovo. Incastonate tra queste due notti, diverse presenze hanno un andamento e una sostanza notturni, dalle azdore guidate da Markus Ohrn e Stefania ?Alos Pedretti al clubbing evocato da Michele Rizzo, dal preludio di Cristina Kristal Rizzo alla scena di Amir Reza Koohestani...
Della notte, il Festival esplora le forme di condivisione e prossimità agli altri, la possibilità di riparo dalle pressioni di visibilità e accessibilità che governano il giorno, l'invito silenzioso a tentare altre modalità di conoscenza, altre forme di presenza a sé, agli altri, al mondo. Una di queste, forse la più potente, è il sonno, «una assoluta interruzione del furto di tempo portato avanti dal capitalismo» [Jonathan Crary] che non produce alcun valore e non genera alcuna forma di comunicazione o socialità ma cela un mondo interiore misterioso anche al dormiente e immerge gli individui nell'universalità di un'esistenza che trascende l'umano.
III.
L'esperienza dello spettatore che si sposti dentro e tra le due mappe sovrapposte di realtà e finzione e che si immerga nell'oscurità generosa di notti che preludono a nuovi inizi è un'esperienza intima e al tempo stesso impersonale.
Un'esperienza rituale, se per rito si intende un accadimento che segna una differenza di natura tra un "prima" e un "dopo", una cerimonia che agisce un potere trasformativo o una procedura emancipatoria che crea condizioni di possibilità. Di molti riti sono
fatte le dieci giornate di Festival, dall'accensione del fuoco di Luigi De Angelis e Emanuele Wiltsch Barberio allo scatenamento di balli notturni di Michele Rizzo, Motus e Markus Öhrn, dalla grande e spaventosa impresa collettiva di Zapruder filmmakersgroup e ZEUS! al conto alla rovescia di Strasse...
Con questi e altri riti, Santarcangelo celebra il proprio cambiamento e inaugura un tempo fantastico dove può esistere anche quello che non ci sarà, come "L'oracolo della corona": un labirinto di cristalli -proprio la giostra da Luna Park - decorato con una grande corona luminosa e posto al centro della piazza. Questo labirinto, che durante il giorno segue il suo normale funzionamento di giostra, a una data ora della sera si trasformerebbe per una durata stabilita in oracolo, grazie agli interventi di artisti ogni volta diversi, invitati da Zapruder filmmakersgroup. Diverrebbe luogo di un sapere sul futuro, predizione misteriosa, che rimanda alla natura profonda dell'arte, sola pratica che si immerge nello sconosciuto non per conoscerlo ma per frequentarlo nella sua oscurità insondabile.
Non ci sarà, "L'oracolo della corona", e la sua assenza porta al centro della scena la durezza del reale, la fatica e la caparbietà con cui si cerca di rendere possibile un'idea, la necessità talvolta di arrendersi alla forma più brutale in cui la realtà si manifesta, statuendo un fatto come impossibile. E allora un oracolo senza corona quello che si potrà ascoltare in piazza, un oracolo che non nomina lo spazio in cui si manifesta, non attira in un labirinto ma fa di una città intera, dei suoi spazi resi instabili dalla vibrazione della scena, il proprio tempio. Un oracolo, figura puntuale che dice la potenza della parola d'artista, e anche del Festival e degli spettatori che la inseguono e si slanciano cosi in un'avventura che non finirà.
SILVIA BOTTIROLI
Direzione Artistica Santarcangelo Festival
8 - 17 luglio 2016