1991
LAVORO D'ARTE COMUNE
5 - 14 luglio
direzione artistica ANTONIO ATTISANI
LO STATO DEL TEATRO CHE VORREMMO
Se la politica degenera in spettacolo é fatale che lo spettacolo diventi cattiva politica. La prima non governa più, rinuncia alle opzioni controverse per farsi staggio e travestimento di interessi particolari, mentre lo spettacolo si fa sempre più noioso, perché il fine di intrattenimento e di riflessione che gli dovrebbe essere proprio resta subordinato a logiche di commercio politico (nella distribuzione delle risorse) e di spaccio ideologico (nella configurazione delle opere).
Sembra che stiamo andando in questa direzione, per colpa di tutti e di nessuno. Lo Stato non dirige il teatro e tantomeno ne rappresenta una concezione propulsiva, votandosi piuttosto ad alimentare un compromesso tra le istanze corporative e la spettacolarizzazione della politica. E lo stato dello Stato è tanto più degenerato quanto più si va nel piccolo: ogni minuscolo organismo periferico è infestato dal virus della spettacolarizzazione ideologica molto piu del Ministero o degli enti statali. Mentre coloro che dicono di incarnare la parola teatro sono talmente diversi tra loro, e tutti cosi determinati, da paralizzarsi a vicenda: né vincitori né vinti, solo mediocri di professione.
Lo Stato, insomma, ha tante facce, quelle degli ltaliani. Guardiamole. Alcune sono francamente schifose. Per esempio, questo tuonare contro la “marginalita” e il “nuovo” in nome della “professionalità” e della pensione da assicurare ai padri nobili e ai managers del teatro italiano. Si smerciano parole a effetto per significare una cosa sola, che si vuole garantire il potere a chi l’ha, gli altri siano dannati al silenzio e all'insignificanza.
Per fortuna questo progetto, benché molto accreditato e trasversale, non é ancora affermato, anzi si scontra con una miriade di energie creative oltreché con il buonsenso. ll tentativo di Santarcangelo, che nel bene e nel male é un pezzetto dello Stato teatrale, é quello di orientarsi in base al buon senso; si guarda al fronte del teatro indipendente, in apparenza il più debole, per partecipare alla fondazione di una nuova fase storica, quella che articola la funzione pubblica del teatro con la libertà di artisti e operatori.
Se stiamo agli schieramenti verbali di oggi, noi siamo dalla parte della marginalità e contro il mercato.
Ciò perché crediamo che gli artisti e le compagnie senza coperture di partiti o di critici trafficoni abbiano anche loro il diritto di fare teatro, crediamo in coloro che non inseguono le facilitazioni del mercato (scelte di repertorio ovvie, politica dei nomi in cartellone, pseudoprovocazioni estetiche), puntiamo su chi non considera la scena soltanto come un transito per la televisione o altro, vogliamo lavorare assieme a coloro per i quali il teatro è luogo di ricerca poetica e di meditazione condivisa con gli spettatori. Un teatro fatto di giovani e anziani, di artisti noti e meno noti, attivi in questa o quella categoria professionale, di maggiore o minore valore. Non si tratta di un teatro creato in provetta a Santarcangelo ma, al contrario, di un terreno sul quale operiamo con spirito selettivo e promozionale insieme, puntando su alcuni progetti e risultati artistici.
i soggetti presenti a questo festival ne sono un esempio.
Uno.
Chi vuole tenere questo teatro ai margini dice che é marginale. lnvece questo è il centro del teatro, il cuore del suo senso. Le istituzioni - ma meglio sarebbe dire i
luoghi - che appoggiano questo lavoro sono ancora pochissime. C'è dunque una dimensione politica del problema, e di lotta (si puo ancora?). Le istituzioni possono svolgere un ruolo positivo soitanto se tale possibilità viene conquistata e difesa attivamente da un ambiente umano. Altrimenti sono il boccone del funzionario di passaggio. Ecco perché ci permettiamo di dire che Santarcangelo è uno spazio di libertà, per ora, dove ci si può mettere alla prova, dove si può nascere, crescere, confrontarsi con l’altro e anche morire se è giusto.
Lo Stato deve occuparsi di tutto, anche di legiferare sull’onesto commercio e l’intrattenimento, però questo è l’unico teatro su cui dovrebbe investire. Ognuno capisce che questo teatro presuppone un altro Stato, mentre questo stato delle cose favorisce ancora il teatro mortale. Resta l’obbiettivo: uno Stato che ristabilisca la differenza tra politica e spettacolo e tra spettacolo e teatro. Non sarà utopia se ognuno riuscirà, senza aspettare la liberazione impossibile, a fare qualcosa in casa propria.
Noi, piccolo teatro pubblico di provincia e dunque pezzetto di Stato, cerchiamo di farlo. Per ora siamo costretti a puntare sul senso contro il mercato, domani speriamo sul senso e basta. Lo stato del teatro che auspichiamo sembra a molti impossibile, oggi, ma è quello necessario.
Scarica il catalogo
5 - 14 luglio
direzione artistica ANTONIO ATTISANI
LO STATO DEL TEATRO CHE VORREMMO
Se la politica degenera in spettacolo é fatale che lo spettacolo diventi cattiva politica. La prima non governa più, rinuncia alle opzioni controverse per farsi staggio e travestimento di interessi particolari, mentre lo spettacolo si fa sempre più noioso, perché il fine di intrattenimento e di riflessione che gli dovrebbe essere proprio resta subordinato a logiche di commercio politico (nella distribuzione delle risorse) e di spaccio ideologico (nella configurazione delle opere).
Sembra che stiamo andando in questa direzione, per colpa di tutti e di nessuno. Lo Stato non dirige il teatro e tantomeno ne rappresenta una concezione propulsiva, votandosi piuttosto ad alimentare un compromesso tra le istanze corporative e la spettacolarizzazione della politica. E lo stato dello Stato è tanto più degenerato quanto più si va nel piccolo: ogni minuscolo organismo periferico è infestato dal virus della spettacolarizzazione ideologica molto piu del Ministero o degli enti statali. Mentre coloro che dicono di incarnare la parola teatro sono talmente diversi tra loro, e tutti cosi determinati, da paralizzarsi a vicenda: né vincitori né vinti, solo mediocri di professione.
Lo Stato, insomma, ha tante facce, quelle degli ltaliani. Guardiamole. Alcune sono francamente schifose. Per esempio, questo tuonare contro la “marginalita” e il “nuovo” in nome della “professionalità” e della pensione da assicurare ai padri nobili e ai managers del teatro italiano. Si smerciano parole a effetto per significare una cosa sola, che si vuole garantire il potere a chi l’ha, gli altri siano dannati al silenzio e all'insignificanza.
Per fortuna questo progetto, benché molto accreditato e trasversale, non é ancora affermato, anzi si scontra con una miriade di energie creative oltreché con il buonsenso. ll tentativo di Santarcangelo, che nel bene e nel male é un pezzetto dello Stato teatrale, é quello di orientarsi in base al buon senso; si guarda al fronte del teatro indipendente, in apparenza il più debole, per partecipare alla fondazione di una nuova fase storica, quella che articola la funzione pubblica del teatro con la libertà di artisti e operatori.
Se stiamo agli schieramenti verbali di oggi, noi siamo dalla parte della marginalità e contro il mercato.
Ciò perché crediamo che gli artisti e le compagnie senza coperture di partiti o di critici trafficoni abbiano anche loro il diritto di fare teatro, crediamo in coloro che non inseguono le facilitazioni del mercato (scelte di repertorio ovvie, politica dei nomi in cartellone, pseudoprovocazioni estetiche), puntiamo su chi non considera la scena soltanto come un transito per la televisione o altro, vogliamo lavorare assieme a coloro per i quali il teatro è luogo di ricerca poetica e di meditazione condivisa con gli spettatori. Un teatro fatto di giovani e anziani, di artisti noti e meno noti, attivi in questa o quella categoria professionale, di maggiore o minore valore. Non si tratta di un teatro creato in provetta a Santarcangelo ma, al contrario, di un terreno sul quale operiamo con spirito selettivo e promozionale insieme, puntando su alcuni progetti e risultati artistici.
i soggetti presenti a questo festival ne sono un esempio.
Uno.
Chi vuole tenere questo teatro ai margini dice che é marginale. lnvece questo è il centro del teatro, il cuore del suo senso. Le istituzioni - ma meglio sarebbe dire i
luoghi - che appoggiano questo lavoro sono ancora pochissime. C'è dunque una dimensione politica del problema, e di lotta (si puo ancora?). Le istituzioni possono svolgere un ruolo positivo soitanto se tale possibilità viene conquistata e difesa attivamente da un ambiente umano. Altrimenti sono il boccone del funzionario di passaggio. Ecco perché ci permettiamo di dire che Santarcangelo è uno spazio di libertà, per ora, dove ci si può mettere alla prova, dove si può nascere, crescere, confrontarsi con l’altro e anche morire se è giusto.
Lo Stato deve occuparsi di tutto, anche di legiferare sull’onesto commercio e l’intrattenimento, però questo è l’unico teatro su cui dovrebbe investire. Ognuno capisce che questo teatro presuppone un altro Stato, mentre questo stato delle cose favorisce ancora il teatro mortale. Resta l’obbiettivo: uno Stato che ristabilisca la differenza tra politica e spettacolo e tra spettacolo e teatro. Non sarà utopia se ognuno riuscirà, senza aspettare la liberazione impossibile, a fare qualcosa in casa propria.
Noi, piccolo teatro pubblico di provincia e dunque pezzetto di Stato, cerchiamo di farlo. Per ora siamo costretti a puntare sul senso contro il mercato, domani speriamo sul senso e basta. Lo stato del teatro che auspichiamo sembra a molti impossibile, oggi, ma è quello necessario.
Antonio Attisani
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